Alessandro Daniele, figlio dell’indimenticabile Pino, racconta il padre, scomparso il 4 gennaio 2015, nel libro Pino Daniele. “Tutto quello che mi ha dato emozione viene alla luce” editore Rai Libri, 352 pagine al prezzo di euro 20, che è in uscita il 31 ottobre e raccontato in anteprima assoluta sulle pagine del Il Mattino a cura di Federico Vacalebre.
Descrizione del libro
La vita e le circostanze che stanno dietro l’arte e le canzoni di Pino Daniele. Dall’in¬fanzia all’esplosione del suo straordinario e incredibile talento creativo, dagli anni della consacrazione musicale al successo internazionale. Alessandro Daniele, attraverso i suoi ricordi e la voce di chi è stato davvero vicino all’uomo in blues, negli affetti e nel suo lavoro, ricompone le tessere di un mosaico personale e artistico, in cui l’uomo e il musicista si sovrappongono nella figura di suo padre. Stati d’animo, pensieri e momenti all’origine delle canzoni, per un racconto inedito della vita e delle opere di uno dei più grandi artisti italiani. Questo libro è il frutto di una minuziosa e intensa ricerca, il tributo di un figlio a suo padre, la parabola di una grande storia umana e musicale.
Articolo tratto dal Il Mattino di Federico Vacalebre
Pino Daniele, il libro del figlio Alessandro: «Quando De Simone disse no a Napule è».
A pag. 138: «Comunque, stanotte non riuscivo a durmi’, e m’è asciuta pure chesta».
Siamo nel mese di aprile 1977 e Pino Daniele è a casa di Claudio Poggi.
Prende la chitarra e gli fa ascoltare un primo abbozzo di «’Na tazzulella ‘e cafè».
Il produttore è colpito, molto colpito, gli suggerisce di sbrigarsi a finire il pezzo, poi si muove verso la cucina per preparare un caffè.
Il lazzaro non sempre felice lo ferma, rimette le mani sulla chitarra: «Comunque, stanotte non riuscivo a durmi’, e m’è asciuta pure chesta».
«Chesta», anzi «pure chesta», era «Napule è», un capolavoro, ancora oggi inno dolente della città carta sporca, della città voce d”e criature, della città mille colori, della città che «’a sape tutto o munno, ma nun sape a verità».
«Napule è» nasce, anzi «esce», così, tra un blues e una mandolinata, in una Napoli scamazzata, ribelle e incoscientemente felice.
Senza paroloni, l’amore filiale è evidente, nelle confessioni come nelle omissioni, ma Alex non esagera, fedele al pudore ereditato dal padre, ancor più da quando lui non c’è più.
Ha aspettato tempo, anche se il tempo non sa lenire l’assedio dell’assenza, prima di prendere parola, in un libro da cui potrebbe nascere un tv movie Rai.
Ha fatto lo slalom tra le polemiche, i pettegolezzi, gli schieramenti, le famiglie, sia pur con amore intatto per la «sua» famiglia, mamma Dorina in testa.
Eccolo, Pinotto, ragazzotto paffuto che vediamo crescere da due zie, Bianca e Lia Lamberti, «dette ‘e signurine perché non si erano mai sposate», che non sono zie, ma datrici di lavoro di mamma Rita De Luca, domestica a casa loro in piazza Santa Maria La Nova.
Pinotto nato «sabato 19 marzo 1955 tra le due e le tre del pomeriggio nel cuore della città vecchia, in un sottoscala di via Francesco Saverio Gargiulo, al numero 20».
Un basso, una sola stanza con il cucinotto, un letto abbastanza grande e un piccolo bagno.
Più la famiglia cresce, più Rita lascia il bambino alle «zie» dalla posizione più agiata (hanno un lavoro), più loro si affezionano a lui, vogliono crescerlo, dargli quello che in famiglia non possono.
Mamma Rituccia, figlia di donna Concetta (proprio quella della canzone), «detta mulignana per il colore della sua pelle», porta a casa quello che può, papà Gennaro, detto «’o guercio» per problemi agli occhi, lavora al porto ma ha il vizio delle carte, del gioco, «un’ossessione che ebbe gravi ripercussioni su tutta la famiglia, non solo sul piano economico ma anche su quello psicologico, generando un malessere che tutti i figli si portarono dentro fino all’età adulta».
Alex non mette il belletto su questa parte della storia, che non è tutta rosa e fiori, anzi: Gennaro Daniele «quando perdeva era pieno di rabbia e di insoddisfazione, era pronto a scaricarla a casa su chiunque della famiglia provasse a rimproverarlo per il suo comportamento».
Urla, botte, amanti, vino.
Sul pianeta Pino Daniele però compare la musica.
Lui è l’unico dei fratelli a studiare (alle elementari con Enzo Gragnaniello), l’amico Salvatore Battaglia gli presta una chitarra Eko, pagata 5.000 lire e lui inizia a strimpellarla, sogna di imitare il suo idolo, Presley.
I fratelli di Pino (Carmine, detto «o Gio’», più di tutti) e gli amici di infanzia tessono un racconto corale, prestano gli occhi ad Alessandro, che porta dentro (e nelle pagine) anche tanti racconti-ricordi del padre, ridandogli la voce.
C’è dolore, tanto.
Più delle condizioni umili, pesa l’ambiente familiare, la madre ferita e umiliata.
«Tu sei un figlio non gradito», gli urla papà Gennaro, che quando ascolta «Ca calore», il primo 45 giri, sentenzia «Ma vai a fatica’».
La musica è balsamo sulle ferite, a 12 anni il primo «concerto», «a una festa di amici del mio stesso palazzo, dove presi la mia prima stecca con la voce».
I 5 di Picche dell’amico Gianni Battelli sono il suo primo gruppo, a un matrimonio uno degli invitati vuole ascoltare «Anema e core», il futuro Nero a Metà non la conosce bene, ma una pistola lo convince ad esibirsi come richiesto.
Più il racconto si avvicina all’avventura discografica, al fatidico incontro con Rosario Jermano, con la Emi, con Enzo Avitabile, con Rino Zurzolo, con James Senese, con Tullio De Piscopo, con Tony Esposito, con Joe Amoruso, più l’affresco si fa chiaro, e noto, certo.
Ma Alex è un pozzo di racconti inediti.
Bruno Tibaldi gli racconta: «Io all’epoca avevo sotto contratto anche la Nuova Compagnia di Canto Popolare, e mi venne l’idea di coinvolgere Roberto De Simone per l’arrangiamento di “Napule è”, ma lui non accettò».
Per fortuna ci pensò Antonio Sinagra.
I due, il maestro e l’uomo in blues, si sono incontrati una sola volta nella loro vita, sponsor lo scrivente, molti anni dopo.
Nel libro ci sono canzoni inedite («’A giostra» e «Gambrinus» risalgono ai Batracomiomachia; «Una parte di me» è dedicata al figlio più piccolo, Francesco; «My spanish heart», omaggio a Corea pensato per Domingo), c’è Bob Marley e il no detto nel 1982 all’ipotesi di fare da supporter ai Rolling Stones al San Paolo.
Ci sono mille incontri artistici, veraci ed internazionali.
C’è la paura dopo il primo by pass, il ritorno sulle scene e la frustrazione causata da quel cuore pazzo che gli costerà la vita, come temuto: «Ho fatto un sogno allucinante, ero con zia Bianca e zia Lia, attorno a me c’era del fumo nero, poi un’ombra ha allungato la mano verso di me e con il gesto di afferrarmi…mi ha detto io ti spengo il cuore!», racconta ad Alex verso la fine del libro, che lascia spazio per un secondo volume: «Con l’arrivo dell’inverno tornava alla mente di papà il pensiero che il suo tempo si stava concludendo, il freddo gli causava dei dolori al petto, aveva un solo bypass funzionante, non c’era più la possibilità di tamponare con degli stent e sarebbe stato necessario un nuovo intervento.
Nelle sue condizioni le percentuali di rischio erano molto alte: E quando non ci sarò più… saranno cazzi vostri! Si fotte chi resta, ironizzava».
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